Scopi e Target
Al di là degli scopi propriamente “mediatici” che sono banalmente riassumibili nell’accumulazione del maggior consenso/dissenso possibile, esiste inevitabilmente tutta una serie di scopi politici che variano al variare delle regie:
– la destabilizzazione di territori e quadranti strategici sia locali che internazionali;
– l’assunzione di ruoli che consentono di agire potentemente sul bipolo controllo/libertà
– la generazione di pulsioni di impotenza, sconforto e paura a discapito del target finale: cittadini, elettori, consumatori, contribuenti e loro famiglie.
Tutto ciò è già mirabilmente descritto da molti blogger e da pochi giornalisti onesti.
In termini di comunicazione generale però resta in ombra un aspetto che riguarda gli orientamenti dei cittadini target di riferimento.
L’imponente passaggio dalla tradizione orale al sistema mediatico moderno, tende a relegare la prima in un ruolo subordinato.
Secondo alcuni analisti invece lo scambio orale resta assolutamente rilevante, in quanto, nel nostro caso esso costituisce (probabilmente) la rete e il veicolo privilegiato per il raggiungimento dei traguardi voluti dalle Regie. Nel caso di attentati infatti non ci troviamo di fronte all’organizzazione di consenso/dissenso su questioni che vivono e si alimentano esclusivamente di media; ma ci troviamo di fronte alla volontà di una o più Regie finalizzata al raggiungimento del “consenso emozionale profondo”, amicale, nel piccolo e medio gruppo, concertato attraverso stimoli fondati sulla pressione di gruppo, tale da realizzare conformismo e massima uniformità di posizione su questioni geopolitiche e religiose.
Tali obiettivi – come insegnano alcuni sociologi e linguisti – si raggiungono in modo maggiormente agevolato attraverso la comunicazione orale. Quindi dobbiamo immaginare che la gran parte dei media mainstream sia impegnata ad attivare parole d’ordine (“terrorismo”; “nemico”, “guerra”; “complottismo”, “dietrologia”, ecc.) al fine di ottenere adesioni nei commenti da bar, da desco familiare , tra colleghi, in autobus , etc…
L’obiettivo consiste dunque nella costruzione di identità che, sostenute da immagini e audio circolante nel mainstream, generano assonanza di vedute, empatia e convincimento emozionale profondo, in quanto espresso tra simili legati da affetti e visioni del futuro comune (la famosa difesa dei “nostri valori”).
Ovviamente esiste un groviglio inestricabile tra pressione mediatica e formazione della coscienza individuale e di gruppo ma, in tale groviglio l’importanza della comunicazione audio e orale non deve rimanere in ombra.
Rivendicazioni e smentite
Finora abbiamo descritto una scena mediatica innervata di possibili forzature e distorsioni della realtà realizzabili grazie alla tecnologia … quest’area della comunicazione è, senza dubbio, quella in cui si potrebbe annidare l’ambiguità.
La partita più perversa si gioca in ogni caso sul Marchio che rivendica e/o smentisce, sulla sua credibilità e (perché no?) autorevolezza, sulla sua capacità di farsi riconoscere e di essere prontamente identificato.
Senza andare molto lontano nello Spazio e nel Tempo rammentiamo i modi in cui rivendicavano le Brigate Rosse e Cosa Nostra e dintorni. Gli strumenti e la pratica di auto-attribuzione del misfatto erano assolutamente rituali . In difetto di ritualità la rivendicazione veniva messa in discussione in primis dalle Autorità e dai media.
Oggi non più.
Chissà perché ormai la maggioranza dei cittadini “accoglie” la rivendicazione, ma sarebbe meglio dire “l’attribuzione” a Marchi terroristici che negli ultimi tempi sembrano in franchising, cioè usabili da chiunque manifesti una risonanza con loro.
El Pueblo “accoglie” ormai quasi con sollievo la rivendicazione per avere almeno la certezza di un nemico individuabile. Circoscritto. Nominabile. Lo fa per non sentirsi infiltrato e/o circondato da N. nemici occulti e invisibili.
Talvolta si è giunti a formulare un’ipotesi di ritualità che identificherebbe i responsabili: Al-Qa’ida, fratelli musulmani, ISIS e dintorni
– bombe che vengono fatte detonare quasi simultaneamente
– nessun avvertimento da parte degli attentatori
– attentati compiuti nella prima mattinata per attirare l’attenzione sopra tutte le altre notizie per almeno un giorno intero
– bombe fatte esplodere in un momento e in un luogo dove fosse possibile provocare il maggior numero di morti e feriti tra la popolazione civile.
Per “credere” però… semplicemente “per credere” alle rivendicazioni di default… servirebbe per lo meno un mix di tre “testimonianze” robuste:
a) i video delle telecamere di sorveglianza (quando ci sono);
b) i video generati dagli utenti (quando ci sono) che si trovano nella scena per caso
c) infine – e SOPRATUTTO – il documento di “rivendicazione vera e propria”, mostrato nei dettagli e inequivocabilmente riconducibile al Marchio.
Già da tempo abbiamo scoperto che spesso l’attribuzione/rivendicazione è stata effettuata da un sito di analisti strategici di Washington DC noto quale “SITE Institute“. Al riguardo si legge su Wikipedia che «l’istituto traccia/osserva la rete del terrorismo globale e intercetta e distribuisce messaggi, video e minacce di attentati rinvenuti all’interno della comunicazione dei gruppi terroristici stessi». Sull’indipendenza e l’attendibilità del SITE è già stato scritto molto, non voglio aggiungere commenti a quanti sono già stati espressi.
Il mainstream però a tal riguardo non si pone più la questione e si limita a titolare o a far leggere dai conduttori delle news una semplice frase «L’attentato è stato rivendicato da X» senza citare la Fonte. Senza far notare che quasi tutte le rivendicazioni compaiono nel web e pertanto sono per lo meno “poco attendibili”. Non va bene.
Pertanto, se gli elementi di identificazione, pur essendo presenti nella scena, sono parziali o mancano vistosamente nella ricostruzione dei fatti avvenuti e/o non vengono divulgati da autorità e media, la “narrazione” delle vicende sconfina nella fiction e emana un forte odore di “false flag”. Che lo si voglia o meno.
Se inoltre ciò che viene diffuso dai media è palesemente riconducibile alla cieca visione di parte, alla mancanza di intelligenza critica… allora è l’ipotesi di false flag quella che assume credibilità e autorevolezza.
È l’assenza di esibizione di documenti originali e video-live a sostegno delle rivendicazioni che crea i dubbi maggiori. Le videoclip palesemente registrate e editate non bastano più. La sensazione, in questi casi, al di là del complottismo, è semplicemente il dubbio di San Tommaso. Ed è lecita se si considera la Storia degli umani e le decine di imponenti false flag grazie alle quali è stata manipolata la verità storica (alcune delle quali recenti e ancora sottoposte a verifica e dibattito).
La sensazione di dubbio è lecita se si considera il gran numero di possibilità di modificare ricostruzioni audio, video e digitali, se si considera che esistono società di produzione audiovisiva, le quali promuovono e offrono spavaldamente la possibilità di realizzare documentari taroccati di attentati con morti, feriti, sangue e ogni altro dettaglio utile a renderle assolutamente verosimili.
Se non c’è portavoce ufficiale, firma e marchio riconoscibili, ritualità manifesta nella rivendicazione, luogo di comparsa, permanenza e rintracciabilità della rivendicazione, testimonianze video-live quali telecamere di sorveglianza e video caricati spontaneamente in rete da CGU… se tutto ciò non viene diffuso e mostrato diligentemente dalle Autorità ai cittadini… Se al posto di tutto ciò c’è soprattutto (spesso) maldestra o disinvolta ricostruzione mediatica, l’ipotesi di false flag ne esce rafforzata .
I questi casi si apre uno scenario ulteriore di tragico confronto, di ansia impotente. Un confronto tra l’intelligenza, l’onestà e il conformismo mediatico e politico. Un confronto che comunque mina la credibilità dei poteri costituiti e ci fa sentire in balia dell’ignoto.